L’unità Operativa di Lipoaferesi protagonista a Tadà, la trasmissione di Rtv38 dedicata a Medicina e Benessere. Durante la puntata del 18 ottobre scorso ospiti in studi la dottoressa Beatrice Dal Pino e il dottor Francesco Sbrana.
Durante la puntata i due medici, rispondendo alle domande della conduttrice, hanno fatto il punto su dislipidemie e colesterolo nel sangue.
Riportiamo le domande poste ai medici e le risposte fornite.
1.Dottor Sbrana, cosa si intende per dislipidemia, quanti e quali tipi di dislipidemia ci sono?
Con il termine dislipidemie si intende una serie di alterazioni della quantità di lipidi nel sangue, in particolare di trigliceridi e colesterolo. Le dislipidemie possono essere secondarie ad altre patologie come diabete mellito, disturbi della tiroide, menopausa, scorretta alimentazione o abuso di alcool oppure primitive cioè causate da alterazioni metaboliche ereditarie.
2.Ci sono differenze in termini di diagnosi, di trattamento e cura tra primitive e secondarie?
Per le dislipidemie primitive, la valutazione della storia familiare, la ricerca obiettiva di segni clinici e degli esami di laboratorio di routine, è in grado di indirizzare verso la diagnosi. Per le forme secondarie, è fondamentale la cura della condizione clinica di base e correzione dello stile di vita. A livello terapeutico, le forme primitive necessitano di essere identificate e trattate il più precocemente possibile perché comportano un aumento del rischio cardiovascolare. Ad oggi è possibile ricorrere allo screening genetico.
3. Qual è il legame tra dislipidemia e cuore?
Il cosiddetto colesterolo cattivo, LDL, è davvero pericoloso: la riduzione dell’1% del colesterolo LDL è associata ad una diminuzione del rischio di aterosclerosi del 2-3%. L’ LDL è il primo responsabile dell’insorgenza dell’aterosclerosi ovvero l’accumulo di placche nelle pareti delle arterie che a sua volta porta a malattie cardiovascolari come infarto, ischemia e ictus.
1. Ridurre il colesterolo “cattivo” è importante. Quante persone in Italia vincono questa sfida?
Ridurre il colesterolo LDL non è semplice e riguarda l’8-10% della nostra popolazione. Fortunatamente negli ultimi anni abbiamo più farmaci a disposizione. Le nuove linee guida ci raccomandano livelli sempre più ambiziosi da raggiungere: 55 mg/dl per i soggetti che hanno già avuto un evento cardiovascolare o di 70 mg/dl per i soggetti ad alto rischio. Oggi questi livelli si raggiungono soltanto nel 20% della popolazione trattata.
2. Quali possono essere i motivi di questa bassa risposta al trattamento della popolazione?
La scarsa consapevolezza è l’ostacolo principale. Oggi le persone misurano il colesterolo più spesso rispetto al passato, ma gli esami poi finiscono in un cassetto e il 30% degli italiani è inconsapevole di avere valori di colesterolo meritevoli di terapia. Essendo il colesterolo una “non malattia” nel senso che non dà sintomi, ti accorgi di avere il colesterolo LDL alto solo dopo un evento cardiovascolare acuto come l’infarto. Quindi tutto quello che è prevenzione primaria è già perso. Inoltre, anche i soggetti che iniziano la terapia ipolipemizzante purtroppo non la mantengono per il tempo che dovrebbero e il beneficio che ne deriva si riduce.
3. In Monasterio quali sono stati gli interventi per migliorare l’aderenza dei vostri pazienti?
Dalla diffusione di una maggiore consapevolezza, all’impiego di strategie personalizzate e innovative. Abbiamo creato un percorso virtuoso per i pazienti che sono in trattamento con gli inibitori del PCSK9, farmaci molto efficaci e prescrivibili, se non con rare eccezioni, in pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare. Il paziente viene accompagnato nella terapia, dalla prescrizione, alla somministrazione e al successivo follow up in termini di efficacia e controllo clinico, che ci ha consentito di raggiungere una percentuale di aderenza e persistenza alla terapia del 100 %, rispetto ad altre realtà. Vantaggioso sia per salute del cittadino che per la spesa sanitaria in termini di vite salvate.
I medici di Monasterio hanno quindi spiegato cos’è e come funziona la lipoaferesi. La parola – ha chiarito il dottor Sbrana – deriva dal greco e sta ad indicare una metodica che porta via dal sangue un qualcosa di nocivo. Con la procedura vengono rimosse le lipoproteine aterogene dal sangue. Un singolo trattamento determina una riduzione di oltre il 50% delle lipoproteine aterogene. Il sangue viene prelevato da una vena del braccio e trattato, mediante apposite apparecchiature, per essere purificato prima di essere reinfuso al paziente.
La procedura ha una durata variabile, ma mediamente richiede 3-4 ore, viene ripetuta ogni 2 settimane e generalmente è ben tolleraao dal paziente. Questo tipo di trattamento _ hanno spiegato i medici durante la puntata di Tadà _ è iniziato a Pisa nel 1989 per le esigenze di un paziente pediatrico affetto da una dislipidemia primitiva molto rara che se non trattata, porta a problematiche cardiovascolari maggiori entro i venti anni di età. Quel paziente allora pediatrico in questi anni è cresciuto, sta per diventare papà grazie a questa terapia per lui salvavita. I pazienti che oggi afferiscono, per questo trattamento, al nostro Centro delle Dislipidemie Ereditarie in Monasterio, sono circa quaranta affetti da forme di dislipidemia ereditaria primitiva non completamente controllabile con le attuali terapia farmacologiche disponibili. Il paziente con indicazione a questo trattamento viene identificato durante le visite ambulatoriali specialistiche per Dislipidemia o i ricoveri presso la Monasterio; accede su appuntamento all’ Unità Operativa di Lipoprotein Aferesi dove viene effettuato il trattamento in locali dedicati. Il paziente durante il trattamento è costantemente monitorato e può impiegare il tempo ascoltando musica, guardando un film o leggendo un libro.