Il piccolo Leon ha un cuore di luce e di tempesta.
Affetto da una grave cardiopatia congenita (la Tetralogia di Fallot), ha già subìto due lunghe – e complicate – operazioni al cuore.
Ha solo due anni, ma i genitori lo trattano come un “bimbo grande”, raccontandogli e spiegandogli il significato di quella cicatrice che lui stesso vede sul petto.
«Ero incinta, e stavo facendo una visita di routine – racconta Susanna, la mamma di Leon. Con sguardo preoccupato, e dopo un’interminabile attesa, la ginecologa pronuncia poche, laconiche parole: “C’è un problema”.
Ed è così che inizia questa nuova avventura della nostra famiglia, fatta di visite, esami specialistici, la paura di dover interrompere la gravidanza, e la richiesta di pareri sempre più esperti.
Fino a quando, all’Ospedale del Cuore di Massa, arriva la diagnosi: Leon, ancora così piccolo e indifeso, dentro alla mia pancia, già soffriva di una grave cardiopatia congenita».
L’alloggio di una parte della famiglia, il compagno e il primo figlio, in una delle casine dell’Associazione “Un cuore un mondo”, gli alloggi che si trovano intorno all’Ospedale e che sono stati costruiti appositamente per ospitare le famiglie dei piccoli pazienti, durante il periodo del ricovero fino alla dimissione.
Nel frattempo lei, Susanna, veniva presa per mano dai medici ed entrava nell’Area Nascita della Fondazione Monasterio e dell’Azienda USL Toscana Nord-Ovest, all’Ospedale del Cuore di Massa, dove sarebbe stata seguita fino al parto, e per il tempo (successivo) necessario. Un luogo – fisico e non solo – dove donne cardiopatiche, e non, che portano in grembo bambini affetti da malformazioni cardiache, vengono fatte partorire in sicurezza.
Un percorso per la cura ed il trattamento delle patologie cardiovascolari materno-fetali in gravidanza.
«L’attesa di quel figlio tanto desiderato – continua Susanna –, che ha poi scelto di arrivare a noi con un bel carico da novanta.
Un paio di millimetri nel cuore cambiano l’assetto della vita di una famiglia intera, ne cambiano le prospettive e i desideri, ne modificano il quotidiano e tutto ha bisogno di nuovi significati, di nuove risposte e di tanta fiducia.
Fiducia in quello scricciolo che poi tieni nelle braccia, fiducia nei medici della Fondazione Monasterio che diventano il tuo porto sicuro, fiducia nel cielo e in qualsiasi Dio tu abbia (e se non ce l’hai, fidati, che lo trovi), e fiducia nel supporto della Associazione “Un cuore un mondo” che, con affetto, preparazione e sacrificio ti accoglie facendoti sentire a casa.
Ho conosciuto mamme in arrivo da altri paesi, sole, con in braccio il loro pargolo e nessun altro bagaglio, se non la speranza che il team dell’Ospedale del Cuore salvi la vita del loro bambino. Arrivano senza spesso sapere una sola parola di italiano, in una realtà diversa dalla loro, senza sapere dove dormiranno, cosa mangeranno e se torneranno a casa con buone prospettive per il futuro. Ma partono. Partono e basta.
Perché l’amore per un figlio smuove qualsiasi montagna, e non ti importa nulla se non sentirti dire che è andato tutto bene, e queste parole: “il cuore di suo figlio batte ancora”».
Mentre fuori dalle mura dell’Ospedale esplodeva una pandemia che avrebbe messo in ginocchio il mondo intero, che rimaneva – quindi – come sospeso e in attesa, le corsie dell’Ospedale si riempivano di pazienti, e il nostro personale – instancabile – ha continuato a fare quello che ha sempre fatto: prendersi cura dei nostri pazienti.
Per Susanna, gli esami ed i controlli ultra-specialistici, le continue visite dei professionisti, l’attesa del parto.
In quella stanza dell’Ospedale del Cuore, Susanna era sola. Era marzo 2020 e, causa della pandemia, l’accesso negli ospedali era fortemente limitato.
Susanna era sola durante il parto.
E poi, dopo, tutto è successo rapidamente: la monitorizzazione del piccolo Leon appena nato e con il cuore affetto da malformazione, la prontezza d’intervento degli specialisti, poiché il piccolo, appena venuto alla luce, ha avuto problemi di respirazione.
Quindi, la stretta osservazione da parte dei medici e degli infermieri, che non hanno mai lasciato solo il piccolo Leon per un istante.
I genitori, a turno: mentre la madre riprendeva fiato, il padre (nonostante le limitazioni dovute al Covid-19) aveva la possibilità di entrare in Ospedale per vedere il suo bambino appena nato. Il fratello maggiore, nel frattempo, giocava con le volontarie dell’Associazione “Un cuore un mondo”, e vedeva il fratellino grazie alle foto che gli portava il papà.
Ma poi, la certezza di una prima operazione.
Sono passate due settimane, il tempo – per la famiglia – di riprendersi dall’immensa gioia della nascita e dall’orribile paura dell’operazione che ci sarebbe stata. Un’operazione di cardiologia interventistica, necessaria per inserire uno stent e permettere a Leon di respirare correttamente e in autonomia.
Una prima operazione ad un cuore che batte da soli 15 giorni. E di nuovo, Susanna ci racconta la sua solitudine, nell’attesa fuori dalla sala operatoria, mentre il compagno e il figlio maggiore aspettavano notizie in una delle case di accoglienza gestite dall’Associazione “Un cuore un mondo”, lei era sola in un corridoio deserto.
«Ma il nostro percorso non era ancora finito. Nonostante questo, poco prima di lasciare (per la prima volta) l’Ospedale, ho atteso e fissato le tante bacheche piene di foto, di cuori e di “grazie” in tutte le lingue del mondo, che si trovano in degenza pediatrica.
Dentro di me, di noi, questa speranza ci ha tenuti in piedi, e ci ha aiutati ad affrontare ogni giorno, cambiando il nostro sguardo verso gli altri e facendoci sentire parte di una grande famiglia – tra Ospedale e Associazione – che, unite, creano un universo fondamentale intorno ad ogni famiglia».
Dopo soli 4 mesi dal ritorno a casa, però, l’avventura ricominciava: Leon aveva bisogno di un’altra operazione al suo cuore, operazione che, – una volta per tutte – avrebbe migliorato la sua capacità – e possibilità – di respirare.
«Mentre l’Associazione sostiene la famiglia, li abbraccia (a distanza), permette ai bimbi in corsia di giocare, divertirsi e passare ore spensierate nella stanza gioco, non facendo mai mancare socializzazione e apprendimento, la Fondazione Monasterio – dice Susanna, sorridente e commossa al tempo stesso – mette in campo tutte le sue migliori risorse per ricucire quei piccoli cuori speciali, e ballerini.
Da quando il mio bambino è entrato in sala operatoria, sono passate 7 interminabili e strazianti ore di attesa.
La mia vita si è fermata, il mio cuore faceva un rumore sordo, attutito, il mio respiro era affannoso, la testa confusa. Ero come sospesa sotto l’acqua, in apnea. Davanti a me avevo un corridoio lungo, che sembrava quasi infinito. Era illuminato, ma non vedevo la luce. Continuavo a fissare quella porta, da sola e inebetita, in attesa del Cardiochirurgo.
Il momento era surreale, ed ero distaccata, come se un’altra persona stesse vivendo quel momento della mia vita al posto mio.
Poi hanno chiamato il nome di Leon, e in un attimo sono uscita dall’acqua, ho ripreso a respirare, i rumori erano assordanti, la luce accecante.
E le parole che speravo di ascoltare: “è andato tutto bene, il cuore di suo figlio batte ancora”».
Leon ha da poco festeggiato i suoi due anni ed è un vero uragano.
Susanna, nel raccontare la sua – la loro – storia, piangeva e rideva.

